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Aretusa - Aci e Galatea - La storia di Scilla e Cariddi - Tifeo il gigante - Trinacria, la storia di un simbolo - Il ratto di Persefone - Ciane e Anapo - Il canto di Dafni - La leggenda di Glauco - La Principessa Sicilia - Colapesce - L'amore di Piramo e Tisbe - 'U Liotru (l'Elefante) - Cocalo, Dedalo e Minosse - Il Pozzo di Gammazita
l "Re Lazzarone" - due piccoli episodi leggendari
Re Ferdinando ebbe un rapporto di amore-odio con la Sicilia. L'Isola fu suo rifugio durante l'ondata napoleonica salvando la sua vita e l'ordinamento borbonico del Meridione. Eppure per Sua Maestà doveva essere proprio pesante rammentare una terra che rappresentava il periodo peggiore del suo Regno, della sua Napoli in mano dei francesi, di gran parte dei domini borbonici passati ai transalpini. Il Re era difeso nel suo soggiorno Re Ferdinando IV di Borbone con la Duchessa
e Principessa Lucia Migliaccio Grifeo, sposa morganatica del
Sovrano: sono ritratti insieme, la nobildonna come busto marmoreo posto
su una colonnina recante il simbolo siciliano della Trinacria. Qui
sotto, visione completa del dipinto
siculo dalla flotta inglese, situazione che lo metteva spesso di fronte a veri e propri ricatti da parte del potere britannico. Eppure in quel periodo di esilio, Ferdinando continuò con il suo stile di vita, fatto di battute di caccia, sua grande passione, lunghe cavalcate. Un legame forte con la Sicilia lo suggellò grazie al matrimonio morganatico con Lucia Migliaccio, Duchessa di Floridia, vedova del Principe Benedetto Grifeo di Partanna. La nobildonna fu molto amata dal Monarca, ben più della prima moglie, l'austriaca Regina Maria Carolina spesso poco sopportata per il carattere duro, per la sua volitiva ingerenza. Donna Lucia invece lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni in un rapporto d'amore dolcissimo. Re Ferdinando rimase in Sicilia dal 1798 al 1801 e dal 1806 al 1815. Durante una
battuta di caccia nella Tenuta del Cappellaro, Sua Maestà si ritrova
vicino a uno dei caratteristici ovili siculi, con recinti delimitati da
bassi muretti in pietra e basse casupole per la lavorazione del latte
che facevano anche da momentaneo riparo per i pastori. Il Re giunge nel
momento in cui tre pastori stanno facendo la ricotta dal latte ricavato
dalle pecore.
Ferdinando ha fame dopo la prima fase mattutina della caccia. Prende una pagnotta offerta dai tre poveruomini. Taglia la forma di pane, ne toglie la mollica e con la crosta restante ne ricava una specie di scodella dove versa la ricotta ancora calda.
Il Sovrano rifiuta le posate porte con immediatezza dai suoi inservienti. In questo modo il Re costringe, indirettamente, cavalieri e nobiluomini del suo seguito a mangiare nello stesso modo, con le mani (se lo fa il Re, gli altri non possono agire diversamente). Durante questo pasto Ferdinando decide improvvisamente di dimostrare la sua riconoscenza verso i pastori dicendo: “Cu' non mangia ccu so' cucchiaru, lassa tuttu 'o zammataru” ("Chi non mangia con il suo cucchiaio -con le posate- deve lasciare tutto allo zammataru, al pastore").
Nessuno aveva utilizzato le posate, quindi un vero patrimonio di forchette, coltelli e cucchiai in argento finirono nelle mani dei pastori, arricchitisi così in pochi minuti. Da sottolineare che il termine “zammataro” è quello che identificava il pastore che trasformava il latte in ricotta. Proprietà intellettuale e copyright @ Giuseppe Maria Salvatore Grifeo |
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