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l pozzo di Gammazita

Storie d'amore e di sangue, non è solo la Sicilia a esserne ricca anche se nell'Isola abbondano. Questa leggenda è tipica della città di Catania e ha al centro un pozzo che si trova accanto alle antiche mura della città.

Il colore dominante delle acque che affiorano da questo profondo antro verticale, ha una sfumatura rossastra-bruna, come se ci fosse sangue visibile sul fondo.

Pozzo di GammazitaLa storia ha diversi livelli di racconto a cominciare da quello più antico.

Gemma e Zita sono due termini che stanno per "sposa" e "fidanzata" e uniti danno appunto Gemmazita-Gammazita.
E su questo punto ci si rifà alla leggenda che si richiama ai tempi più remoti, quelli popolati di dei, ninfe e satiri dell'antica Grecia.

Protagonisti sono la ninfa Gemma e il pastore Amaseno o Amenano, lo stesso nome dato al fiume di Catania.

La ninfa e il pastore dovevano sposarsi, ma un ostacolo sbarrò la loro strada verso la felicità.

Tanto per capirsi, i due rappresentano la folta schiera dei votati alla disgrazia.
Infatti il dio Plutone fu fatalmente attratto dalla ninfa. Questo non sfuggì all'occhio di Proserpina, l'antica dea greca Kore/Persefone nonché forzata sposa dello stesso Plutone (che l'aveva rapita e trascinata nell'Ade) quindi regina degli Inferi.

Tutto questo basta per immaginare quello che passò per la testa della dea: "Mi ha voluta, è piombato sulla Terra, mi ha afferrata malamente, buttata sul suo carro e trascinata nella terra dei morti per farmi a foza sua moglie... e adesso vorrebbe farsela con quella ninfa? Giammai!". Basta leggere Il ratto di Persefone (link), sempre in questa raccolta di storie e leggende, per farsi un'idea precisa.

Così Proserpina fu presa da divina gelosia per la forte attrazione del divino marito verso Gemma. Furiosissima trasformò la ninfa in una fonte. sempre in questa raccolta di storie e leggende.

Il fatto non sfuggì al pantheon degli dei anche perché tutti loro erano commossi dalla disperazione di Amaseno. A quel punto, anche per mettere fine ai lamenti strazianti, il consesso delle divinità decise di riunire i due sfortunati amanti... trasformando anche il pastore in una fonte.

Proprio le acque di Gammazita sarebbero l'unione dei due antichi amanti che non ebbero la fortuna di vivere da sposi in forma umana, ma furono uniti in forma d'acqua, rossa d'amore e di passione.

Questa versione fu ispirata allo scritto di don Giacomo Gravina, opera in forma di panegirico dedicata nel 1621 a don Francesco Lanario e d'Aragona, Duca di Carpignano, Cavaliere di Calatrava, Sopraintendente Generale delle Fabbriche e delle fortificazioni di Catania.
Il titolo dato al racconto fu "La Gemma zita".
Il Gravina mise Polifemo al posto di Plutone.

Esiste poi un'altra versione, in uno scenario più vicino nella cronologia dei secoli, stesura che è anche la più conosciuta

Questa volta la storia riguarda Gammazita, una ragazza che visse in  tempi ormai lontani, le diverse versioni focalizzano i fatti attorno al 1278, poco prima che scoppiasse la rivolta dei Vespri che portò alla sollevazione generale contro gli angioini il cui governo dispotico e sprezzante verso i siciliani era sempre più mal sopportato.
I francesi esagerarono sempre più nei loro soprusi.

Pozzo di Gammazita a CataniaLa protagonista era una giovane bella, intelligentissima, brillante, una ragazza che già immaginava una vita ricca di promesse insieme al suo amore, un giovane col quale si era fidanzata.

Purtroppo la sua bellezza e la sua personalità furono notate da un cavaliere francese e qui la vicenda si complica arricchita da diverse narrazioni.

Il cavaliere francese pare fosse un certo de Saint Victor.
Lui rimase follemente invaghito di Gammazita quando la vide per la prima volta a ricamare, visibile dala cornice di una finestra di casa sua.
Così il cavaliere tentò varie volte di corteggiare la giovane, si fece sempre più audace, ma la donna non ne volle sapere, era innamorata del suo promesso sposo e nulla poteva sviarla.

Era costume della ragazza sbrigare varie faccende e al mattino andava sempre a prendere l'acqua al pozzo che si trovava lì vicino, addossato alle mura  della città, non lontano da Casrello Ursino, muri che in realtà prendevano forma dal remoto "Muro rotto" così chiamato dai resti d'epoca romana, un circo e una struttura per la naumachia.
Una scala in pietra e mattoni discendeva dalla superficie giù fino a una piccola piattaforma che lambiva le acque del pozzo. Metri e metri separavano il piano stradale dall'acqua.

Nell'imminenza delle sue nozze Gammazita andò con la sua brocca a raccogliere acqua per l'ultima volta da nubile. Lungo la strada ecco de Saint Victor ad attenderla. Il cavaliere era più determinato che mai e non avrebbe più accettato un rifiuto.

La giovane resistette, si divincolò e inizialmente si allontanò rapidamente ma con calma, rossa in viso, arrabbiata sì, ma anche impaurita.

La tragedia finale ebbe il suo tragico epilogo proprio all'inizio della scalinata discendente. Il cavaliere francese la afferrò, lei cercò di divincolarsi, ma la forza di quel mostro d'uomo fu invincibile, le sue mani la presero per le braccia come in una morsa di ferro.

Per disperazione Gammazita riuscì a colpire l'uomo con la brocca, per un istante si liberarò dalla presa, ma l'unica via di fuga era il pozzo.
La donna capì di non avere scampo, lì attorno non c'era nessuno che poteva soccorrerla.

Così Gammazita si lanciò nel vuoto, nell'occhio nero di quel pozzo che accolse il suo corpo come una tomba senza fondo.

Lei perse la vita e da quell'istante le acque lì in fondo si tinsero per sempre di rosso.

Un'altra versione narra che ad agire uccidendola fu direttamente il cavaliere.
Lui bruciava di gelosia e di rabbia per quella donna che non si concedevaD'impeto sorse l'idea dell'assassinio. Lui
ammazzandola avrebbe fatto sì che la giovane non potesse essere di nessun altro.
Passò subito all'azione proprio quando la ragazza andò a prendere l'acqua. Uccise Gammazita sugli scalini che scendevano al pozzo, poi sollevò quel corpo senza vita e lo gettò in fondo.

Come per le altre versioni, le acque di quel luogo presero una sfumatura rossastra e tali rimasero per sempre.

Versione con un allacciamento storico

La leggenda ha poi avuto connessioni dirette con un personaggio storico, quindi realmente assistito. Si tratta di Macalda di Scaletta, figlia di una nobildonna siciliana e, per matrimonio, Baronessa di Ficarra.

Questa donna appartenente all'aristocrazia siciliana era vicina al partito degli Angiò in Sicilia. Era una donna di potere e di intrighi, dissoluta, molto infedele e dedita a tanti amori senza preoccuparsi del suo matrimonio. Fu protagonista alla Corte e fra i potenti vicini a Carlo d'Angiò, ma anche alla Corte di Pietro I di Sicilia che fu pure fra i suoi obiettivi amorosi (mai concretizzati).

Questo è almeno il quadro che è stato fatto nei secoli di Macalda, forse - e sottolineo forse - proprio perché vicina agli odiati francesi che, in tempi successivi, saranno scacciati, prima volta con la rivolta dei Vespri e poi con le interminabili guerre del Vespro che portarono gli Aragona al potere eliminando il potere angioino dall'Isola.

Come si inserisce Macalda di Scaletta in questa storia-leggenda su Gammazita?

Nel corso della vicenda la nobildonna era già vedova del Barone di Ficarra. La situazione le consentiva di essere più "disinvolta" che prima. Frequentava cavalieri e nobili, ma c'era un favorito in questa foresta di uomini: era il giovane Giodano, suo fedele servitore.

Purtroppo le vicende umane si complicano spesso e pure questo caso non sfugge a tale sorte.

Arrivò il giorno in cui Giordano passando per una delle strade di Catania vide una splendida fanciulla ricamare mentre era seduta sulla soglia di casa. Era Gammazita.
Se ne innamorò subito.

Amore ricambiato dalla ragazza e tutto sembrò viaggiare verso un avvenire splendido e felice.

Purtroppo Donna Macalda non digerì affatto quel che stava accadendo tra i due.
Giordano era suo e non doveva essere di nessunaltra!

Così escogitò e realizzò un piano.

La nobildonna (molto poco nobile in tale circostanza) si accordò con il cavaliere de Saint Victor.
Costui avrebbe docuto insidiare la ragazza e farla sua.

In cambio Macalda si sarebbe concessa al cavaliere.

Da qui iniziò l'operato del francese. Tante volte cercò di sorprendere Gammazita e di prenderla, ma più ci tentava e più non ci riusciva.
A quel punto
de Saint Victor.decise di agire quando la ragazza si recava al pozzo pre prendere l'acqua. Il luogo era isolato all'interno di un cortile accanto alle grandi mura difensive, la scalinata poi offriva punti dove attendere nell'ombra e far scattare l'agguato.

Tutto avvenne in pochi attimi. Il cavaliere francese uscì dal buio di una nicchia e afferrò Gammazita per un braccio. Tentò di tirarla a sé per violentarla, ma la giovane trovò energie insospettabili, gli diede uno shiaffo, si divincolò, ma non vedendo via di scampo preferì uccidersi gettandosi nella bocca del pozzo ancora molto lontana lì in basso.

Mentre cadeva, la figura della ragazza spariva nell'oscurità fino al suo impatto col fondo e con quelle acque gelide che da quell'istante si colorarono di rosso a tali rimasero per sempre.

Tornando all'oggi, il Pozzo di Gammazita è visibile  anche se nel 1669 fu parzialmente coperto dalla colata lavica che raggiunse la città fino e oltre l'allora linea costiera di Catania. Appena prima dell'evento vulcanico-etneo, il mare  lambiva la cinta muraria. La lava riuscì a cambiare il profilo della costa allontanando le acque marine, creando una nuova costa ben più lontana dalla sede originaria.
La quota di superficie si alzò
per gli strati di lava che si erano accumulati durante l'eruzione, ragion per cui volendo raggiungere il fondo con il pozzo occorreva scendere per più metri.
In risposta i catanesi scolpirono la dura roccia nera e posero mattoni per allungare ulteriormente la scala tra l'apertura in allto (riallargata a colpi di piccone) e il fondo.

Prima dell'eruzione, richiamando la realtà cittadina in epoca medievale, questa zona urbana era ricca di commercianti con i loro uffici, negozi, attività che si concentrarono qui anche per l'abbondanza di fonti d'acqua, probabilmente punti di sbocco secondari del fiume Amenano.
Era l'antico quartiere ebraico di Catania noto con il nome di Judeka Suttana nella composita lingua giudaico-catanese.

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