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Liotru, l'elefante di Catania, Iside e Sant'Agata (1)

 


ll'epoca della dominazione araba Catania era chiamata Balad-al-fil o Madinat-al-fil, in Italiano, Città dell'Elefante. Leggende e dati storici si sono accumulati senza posa, tutti concordi, fin da tempi molto remoti, nell'assegnare alla metropoli siciliana il simbolo dell'elefante e a dare i significati più diversi di questa scelta “araldica” e popolare.
Nel corso del paleolitico l'area che poi avrebbe accolto la città, ospitava fauna tipica delle aree tropicali-africane. Fra le varie specie dell'epoca c'era anche l'elefante nano. La più antica leggenda narra appunto che il territorio era popolato da questi animali che scorrazzavano liberamente. Impossibile un insediamento umano.
Fu proprio un elefante a far fuggire via tutti gli animali, lasciando campo libero ai primi abitanti. Questi, protetti dal pachiderma, gettarono le basi per la futura città e, per riconoscenza, innalzarono una statua che ritraeva l'elefante. Da allora in quella che sarebbe poi diventata Catania, hanno predominato ovunque le rappresentazioni dell'elefante, compresi alcuni particolari ornamentali dell'architettura.
 

Il nome particolare “Liotru” o “Diotru” con cui i siciliani e soprattutto i catanesi chiamano il pachiderma, ha una spiegazione particolare. Deve essere la traslitterazione popolare del nome Eliodoro, descritto dal grande storico e scrittore Michele Amari come “nobile uomo, candidato una volta alla sede vescovile, poi molesto nemico di San Leone i cui partigiani lo dissero poi discepolo degli ebrei, negromante e fabbro di idoli”.
La leggenda in effetti attribuisce al nobile personaggio la costruzione della statua dell'elefante, opera scolpita nella nera pietra lavica, lavorazione in cui il mago-sant'uomo si sarebbe avvalso anche della magia.

Il pachiderma di roccia serviva a Eliodoro come cavalcatura magicamente animata per ognuno dei suoi viaggi, delle sue spedizioni.

 

Eliodoro, spesso oggetto di attacchi da parte dei soldati bizantini che avrebbero dovuto arrestarlo per ordine dell'Imperatore, sapeva bene come averla vinta.
Una volta la moglie del capitano della guarnigione prese in giro il presunto mago. Eliodoro architettò una risposta geniale. Giunto a Costantinopoli a dorso dell'elefante, il personaggio fece spegnere ogni fuoco nella capitale imperiale e in tutti i domini bizantini. Contemporaneamente, la moglie del capitano della guarnigione incominciò ad avere un gran mal di pancia, un rivolgimento intestinale. All'improvviso una gran fiamma venne sprigionata proprio dal sedere della donna. Era l'unico fuoco rimasto in tutto l'Impero, tanto che la donna dovette rimanere in piazza, con il sedere in fuori e la fiamma sporgente da questo, per fare si che tutti potessero arrivare con delle torce e attingere all'insolito fuoco riportandolo in ogni casa ed edificio pubblico.
La leggenda comunque pone in risalto l'origine bizantina della statua in pietra lavica.

 

Una curiosità: Eliodoro fu fatto bruciare vivo nel 778 proprio nella zona delle Terme Achilliane a Catania, stesso posto dove sarebbe poi sorto il Duomo, a pochi passi dalle due successive collocazioni, fuori e dentro le mura, della statua dell'elefante. Oggi, andando a curiosare in piazza Duomo, l'elefante-ex cavalcatura del mago è collocato in posizione contrapposta al Duomo e guarda proprio verso il luogo su cui sorse la pira dove bruciò il suo padrone. Osservando le statue bianche che ritraggono santi, vescovi e campioni della Cristianità poste intorno all'edificio arcivescovile, si ha una strana impressione: dal recinto sacro della chiesa e dalle cornici architettoniche dello stesso tempio, questi personaggi sembrano guardare il pachiderma, a volte con minaccia o con espressione ammonitrice, o con il viso quasi nascosto da una mano; oppure pare si voltino altrove, quasi con raccapriccio.


Tra le varie ipotesi sull'origine della scultura nera che immortala l'elefante, c'è quella che innanzitutto ha visto l'animale come simbolo di una fantomatica vittoria dei catanesi su un popolo libico, fatto non vero e comunque mai comprovato. L'archeologo catanese Ignazio Paternò Castello (XVIII secolo) ipotizzò di una statua d'elefante con obelisco come parte delle sculture ornamentali nel Circo che si ergeva in città. Altra ipotesi fatta da eminenti archeologi, traccia un parallelo con i ritrovamenti nel porto di Ostia: l'elefante come simbolo del commercio.
Fatto sta che la statua in pietra lavica raffigurante il pachiderma, è stata sempre un simbolo protettore, quasi magico, della città. Come l'archeologo Biagio Pace ebbe modo di appurare, il geografo arabo Idrisi che stilò una mappa della Sicilia per Re Ruggero II, scoprì già nel 1145 le proprietà protettrici della scultura. Di epoca bizantina, scrisse il cartografo musulmano, la statua era posta appena fuori dalle mura cittadine per proteggere l'abitato da calamità naturali e attacchi. Proprio durante la visita di Idrisi, la statua venne portata dentro Catania, nel lato ovest del nuovo Palazzo Municipale su piazza Duomo. L'obelisco collocato sulla schiena dell'elefante (3,61 metri in granito di Siene e non di Siena come qualvolta alcuni hanno scritto) è veramente di fattura egiziana. Anche se a base ottagonale, cosa del tutto inusuale per l'architettura egizia, il pezzo è originale e reca geroglifici sul culto della dea Iside, anticamente radicato a Catania. Qui sta la connessione con la cristiana Sant'Agata.

A cominciare dai tanti paralleli fra la stessa Iside e la Santa, il fercolo di Sant'Agata a forma di nave, la processione a mare, il ruolo fondamentale della martirizzazione con lo strappo delle mammelle e conseguente culto (identico a quello delle mammelle divinatrici di Iside), i fedeli vestiti con il “Sacco”, lungo vestito bianco.

Tanti fattori si sono uniti in un simbolo e si sono trasformati con la storia di una terra, i cambiamenti delle dominazioni e delle fedi religiose, mantenendo però elementi di continuità.

(1) vedere “Leggende di Sicilia e loro genesi storica”, di Santi Correnti, Tringale Editore, 1986

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