Tributo al professore, nonché nonno, Salvatore Geraci Cinquant'anni sono passati da quel 28 aprile 1957, data che segnò la conclusione della sua esistenza terrena. Uomo di grande levatura morale, ricordato con grande affetto e ammirazione dai tanti studenti che frequentarono le sue lezioni di Filosofia e Storia. Salvatore Geraci è fortemente rimpianto. Tutti quelli che lo hanno conosciuto e che si sono formati con lui, continuano a ringraziarlo per aver schiuso loro le porte del ragionamento, di un nuovo modo di guardare al mondo. Una figura originale nel panorama intellettuale siciliano, estremamente diversa da quella che allora era la classica figura del professore. Quindi, un personaggio così grande che non mi rimaneva altro da fare se non raccogliere testimonianze e ricordi per ricostruirne l'immagine e pubblicare un articolo-racconto. Operazione riuscita con la testata più adatta all'occasione, il quotidiano La Sicilia (a fianco la riproduzione della pagina). Un desiderio di raccontare che è andato incontro anche a una mia personale spinta, quella di rivivere la personalità di un nonno (in quanto papà di mia madre) che non ho mai conosciuto. Di seguito inserisco anche il testo in versione non tagliata, quella da circa 7.000 battute (con la trasposizione quasi integrale delle testimonianze) precedente alla pubblicazione sul quotidiano siciliano. L'articolo in versione "pubblicata" è leggibile invece cliccando sull'immagine qui a fianco e quindi aprendo una versione più grande della pagina (803 KB). Un'altra possibilità è aprire il file pdf (solo 84 KB) della stessa pagina, sempre che nel proprio pc sia installato Acrobat Reader (programma scaricabile dal sito ufficiale Adobe in Italiano). Giuseppe Grifeo
Tanti allievi illustri ricordano il professore Salvatore Geraci a cinquant'anni dalla morte Non c'è verità senza ricerca e rispetto degli altri di Giuseppe Grifeo Trattava gli studenti come adulti, voleva che ragionassero piuttosto che memorizzare nozioni, dava un peso relativo ai voti e ne dava uno altissimo al senso morale. Un nonno che non ho potuto conoscere e che per tanti è stato un maestro di vita, un uomo capace con il pensiero di aprire una finestra sul mondo. A cinquant’anni dalla sua morte, così molti dei suoi ex allievi ricordano Salvatore Geraci, vero crociano, professore di storia e filosofia del Liceo “Nicola Spedalieri”, amico di una vita del senatore Domenico Magrì. Un vero educatore che non mi è facile descrivere in poche righe. Da nipote che, purtroppo, non ha potuto scambiare con lui una sola parola, cerco di viverlo attraverso i ricordi di personaggi che oggi dicono di dovergli molto, se non tutto, per l’approccio alla vita, il modo di capire, ragionare. Canoni incarnati nelle quattro figlie del professore, Antonietta, Sara, Letizia e Adelaide, quattro donne che da quel fatidico 28 aprile 1957, insieme a mia nonna Margherita, dovettero di colpo affrontare la vita senza questa figura fondamentale. «Grandissimo rigore morale, coerenza, grande scrupolo scevro da formalismi quando faceva l’insegnante con la “I” maiuscola – sottolinea Antonino Cardaci, presidente del Tribunale di Catania, allievo del professore insieme ai fratelli – “Non guardate i registri, sono sciocchezze. Non siamo qui per il voto, ma per imparare”, ci diceva. Rivoluzionario per quei tempi. Quando in classe esaminavamo un filosofo, prendeva lo spunto per parlare con noi, dialogare anche su questioni contemporanee. Erano lezioni di vita. Ci trattava con grande riguardo, ci dava del “lei”, ci faceva sentire adulti». «Crociano di sicura fede, era la figura fondamentale di un uomo libero che ha educato alla libertà – dice Clelia Reitano, docente – Ci diceva che nulla c’era di preconcetto e che si aveva un’idea solo se si sapeva sostenerla: mai ottenuta per moda, ma costruita lungo un chiaro ragionamento. Da allora noi studenti della sezione B siamo rimasti uniti. Ricordare il professore Geraci è normale, lui e il suo criterio di libertà razionale». «Gli allievi del professore Geraci si riconoscono tutti – aggiunge Sandro Mirone, dirigente Inps, marito della Reitano – Si può dire che fosse proprio socratico. Una volta a scuola si affrontò il tema del comunismo. “Eguaglianza marxista? Bene, me la spieghi”, disse. E la cosa poteva prendere anche più ore. Lanciava la sua opinione diretta, ma la lasciava aperta alla discussione degli altri. Era affascinante. Dopo la guerra, la classe era luogo di naturale contrapposizione di estremismi, ma il confronto era continuo nel pieno rispetto dell’altro. Una cosa che ci ricordiamo quando nel nostro gruppo si inizia a litigare». «Riuscivamo a completare solo metà programma. Socrate, Platone, Aristotele e un lungo balzo su Kant», ricorda Lorenzo Gafà, primario anatomopatologo a Ragusa e fautore delle due strutture siciliane di registrazione dei tumori, a Trapani e nella stessa Ragusa. «Anche quando si studiava la storia, l’analisi cadeva sulle ragioni che stavano alla base dei fatti – continua il clinico - Seguendolo abbiamo creato un gruppo molto affiatato, diviso sì da scelte personali, ma che si è sempre confrontato su tutto fino a oggi, nel segno del nostro professore: io, profondo agnostico, Sandro Mirone, vero diacono, Giorgio Montaudo, ateo e forte propugnatore delle sue idee e Clelia Reitano». «Per Nicola è stata una figura esemplare, un sostituto del padre» racconta Maria Scavuzzo, docente di Filologia greca e latina alla Sapienza di Roma e vedova del professore Nicola Salanitro, docente di Estetica nello stesso Ateneo. «Il professore Geraci era zio di Nicola e gli incontri fra loro due furono determinanti – continua la docente prendendo spunto da uno dei diari del marito - Nicola ammirava la cultura, la capacità dialettica e la dirittura morale del professore. Ricordo un episodio. Un ragazzo venne raccomandato da un’alta autorità per gli esami di maturità, ma il professore lo bocciò ugualmente per la sua impreparazione, affrontando i guai che ne conseguirono». L’episodio è del 1948. Geraci era membro esterno della commissione d’esame al Pennisi di Acireale. La bocciatura di quello studente causò una chiara ritorsione, un provvedimento disciplinare nei confronti del professore. Il caso arrivò anche in Parlamento con un’interrogazione. «Geraci non si piegò e ne uscì vittorioso - conclude Maria Scavuzzo – Il tutto mi riporta al telegramma che spedì a me e a Nicola per il nostro matrimonio: “Vivete felici, nella verità e nel bene”». «La mia classe era nella sezione B dello Spedalieri e lì il professore mi ha insegnato a ragionare in termini critici – sottolinea il senatore Guido Ziccone – Da allora non c’è stato un solo giorno che non ho sentito la sua presenza. Il suo metodo? Che non c’è verità senza la ricerca dialettica e il rispetto per tutti, anche e più per chi è in posizioni opposte. Ho sempre sentito il fascino di persona con grande cultura e correttezza. In classe con noi c’era anche sua figlia Adelaide. L’atteggiamento di rigore che aveva per la figlia era identico a quello che aveva per tutti». «Il professore Geraci ha avuto più generazioni di studenti allo Spedalieri, allora liceo d’elite – rimarca Giorgio Montaudo, professore di Chimica Industriale dell’Università di Catania – Tutti ne sono rimasti fortemente colpiti. Rifiutava il nozionismo, amava filosofare, ragionare, in forte contrasto con la scuola del dopoguerra. I suoi allievi lo hanno santificato. Quando parlava, anche l’ottimo preside Calì si eclissava. Ci ha formati e ci ha uniti. Questo era il professore Geraci». «Nel panorama scolastico degli anni 50, i ragazzi si trovavano in una situazione di sudditanza rispetto ai professori, nessuna confidenza. Con Geraci il rapporto era completamente diverso» dice Sebastiano Sortino, giornalista, per 20 anni direttore generale della Fieg, oggi all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. «Con lui facevamo parte integrante di un processo di apprendimento e formazione. È stato il primo professore e unico della mia vita che si sia sforzato di insegnarmi come apprendere le cose – continua Sortino - Giudicava i suoi allievi sul processo speculativo e intellettuale. Non era catalogabile fra coloro che facevano e fanno il mestiere di professore. Era un intellettuale che faceva il professore. Per dare un’idea della sua levatura, basta dire che era amico di Concetto Marchesi, insigne latinista siciliano, mostro sacro non solo italiano: avevano una fitta corrispondenza e lo scambio di idee era continuo». «Eravamo molto vicini, battagliavamo continuamente. Mi ripeteva, “sei simile a me” – rammenta Antonietta Geraci Zerbo, figlia primogenita del professore – Era amico e vicino ai suoi studenti in modo che loro potessero confidarsi. Da noi figlie si aspettava che seguissimo le sue orme, quindi era particolarmente esigente. Lavorò tantissimo fino all’ultimo e forse è stato questo che ne minò la salute. Appena dopo la sua morte, incontrai un amico di Adrano all’università. Questi aveva sentito alcuni docenti dire: “Il professore ha lasciato alle figlie non dote, ma doti in grandi quantità”». Proprietà intellettuale e copyright © Giuseppe Maria Salvatore Grifeo |
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